La geometria del Laocoonte

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LA GEOMETRIA DEL LAOCOONTE

Fu dalla terra del Colle Oppio, laddove sorgevano le Terme di Tito, che il 14 gennaio 1506 emerse una delle opere più importanti e straordinariamente potenti dell’antichità, in grado di influire in modo massiccio anche sullo sviluppo dell’arte rinascimentale, non solo italiana: la geometria del Laocoonte, impressionante gruppo marmoreo oggi conservato ai Musei Vaticani presso il Cortile Ottagono, lasciò senza fiato i suoi scopritori.

Venite a scoprirlo anche voi, attraverso il Tour di San Pietro e Musei Vaticani, organizzato dall’Associazione Rome Guides.

LAOCOONTE E LA GUERRA DI TROIA

La geometria del Laocoonte, La geometria del Laocoonte, Rome GuidesL’opera s’ispira alla mitica vicenda dell’Alto Sacerdote troiano il quale, unico fra tanti, aveva compreso l’inganno del cavallo donato dai greci alla città di Troia e che, proprio per questo, fu stritolato e poi divorato assieme ai figli da due serpenti marini. Della leggenda narra diffusamente il secondo libro dell’Eneide, nel quale Virgilio descrive il vecchio sacerdote di Apollo che si oppone con tutto se stesso alla volontà manifestata dai Troiani di accettare il dono dell’immenso cavallo di legno che i Greci volevano offrire alla città in segno di riconosciuta supremazia e, in definitiva, di resa.

Come racconta il poeta Omero, infatti, per più di dieci anni Greci e Troiani si erano affrontati senza apprezzabili risultati per risolvere una “questione di cuore”, ossia riparare l’affronto che il troiano Paride aveva inflitto al greco Menelao, cui aveva rapito la splendida moglie Elena, la donna più bella del mondo che la dea Afrodite aveva promesso in sposa allo stesso Paride dopo essere stata scelta come vincitrice nel celebre confronto fra dee.

Per riuscire a vincere, i Greci finsero di togliere l’assedio a Troia e donarono il cavallo di legno che, in realtà, nascondeva al suo interno le truppe e gli eroi greci. In segno di amicizia, i troiani portarono il cavallo dentro la città, ma appena si fece buio i soldati uscirono dal cavo della pancia e distrussero Troia. Laocoonte aveva predetto esattamente quel che sarebbe accaduto, ma nessuno gli aveva dato credito, anche perché Atena (dea della guerra) e Poseidone (dio del mare) erano in favore dei Greci ed avevano inviato due mostri marini a divorare il sacerdote e i suoi figli, dettaglio che a tutti parve come una definitiva conferma della tracotanza e dell’errore dello stesso Laocoonte.

IL RITROVAMENTO DEL LAOCOONTE

Non appena ritrovato, il capolavoro fu immediatamente acquistato da papa Giulio II che commissionò l’identificazione dell’opera all’architetto Giuliano da Sangallo (secondo alcune fonti, assistito da Michelangelo Buonarroti), che subito lo connesse alla scultura citata da Plinio il Vecchio, che aveva menzionato il Laocoonte come di proprietà dell’imperatore Tito e ne aveva attribuito la paternità agli scultori Agesandro, Atanadoro e Polidoro, tutti di Rodi.

“…come nel Laoconte, che è nel palazzo dell’imperatore Tito, opera che è da anteporre a tutte le cose dell’arte sia per la pittura sia per la scultura. Da un solo blocco, per decisione di comune accordo, i sommi artisti Agesandro, Polidoro e Atanodoro da Rodi fecero lui e i figli e i mirabili intrecci dei serpenti”.  

La geometria del Laocoonte, La geometria del Laocoonte, Rome GuidesIl dono, che il tempo galantuomo aveva voluto elargire agli uomini del Rinascimento, che rimasero letteralmente scossi dalla potenza del gruppo scultoreo: quei corpi erano chiaramente correlati alle splendide statue, come ad esempio il Gruppo di Polifemo, che decoravano la Grotta di Tiberio a Sperlonga, databili al I secolo a.C. e firmate dai medesimi artisti.

La scoperta del Laocoonte lasciò tutti sbigottiti per la bellezza e la capacità tecnica che gli artisti avevano saputo dimostrare nel realizzarlo. Una traccia consistente dell’impressione fatta sui contemporanei si ricava dall’epigrafe funeraria del proprietario del sito dal quale emerse l’opera. Sepolto, insieme al figlio Federico, in Santa Maria in Aracoeli sul Campidoglio, Felice de Fredis è passato alla storia proprio per questo episodio unico. Nell’epigrafe il gruppo statuario viene definito «Lacoohontis divinium spirans simulacrum», ossia “la statua del Laocoonte divina e anelante”.

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Quel che stupiva dell’opera era la concreta sensazione che i protagonisti del gruppo soffrissero ed ansimassero, venendo intrisi di una scintilla di vita che gli scultori parevano aver conferito al marmo non solo grazie ai colpi di scalpello, ma per una vera e propria virtù divina. E di certo non è un caso che, proprio in quegli anni, l’aggettivo “divino” venisse affiancato al nome di quel genio indiscusso del Rinascimento che era Michelangelo Buonarroti.

IL SEGRETO DELLA COMPOSIZIONE

Nessuno può essere dubbioso circa il fatto che il Laocoonte sia innegabilmente bello.

Il concetto di bellezza pura e semplice, però, dovrà in questo caso essere approfondito ed esaminato nel dettaglio. Agesandro ed i suoi figli, Atanodoro e Polidoro, dovettero sicuramente effettuare uno studio assai meticoloso sulle proporzioni dell’opera.

Dobbiamo partire da una prima domanda: qual è il punto di osservazione ottimale per il Laocoonte?

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Quando si esamina un dipinto, risulta di norma assai più semplice scoprirne i criteri compositivi, dal momento che le figure e gli elementi che ne fanno parte giacciono “naturalmente” su un’unica superficie. Sebbene, di fronte ad una scultura, ci si trovi di fronte ad un prospetto tridimensionale, appare evidente che un’opera come il Laocoonte sia stata concepita tenendo conto di un punto di vista privilegiato: quello frontale.

È vero, infatti, che il gruppo scultoreo venne realizzato in modo da rendere possibile il girargli attorno, sebbene oggi essa sembri incastonato in uno degli angoli del Cortile Ottagono, ben separato da un cordone che permette la visione da un’unica prospettiva. È però altrettanto vero che i criteri per raccordare assieme le tre figure sono riconoscibili soltanto osservando i protagonisti da una posizione frontale.

LA GEOMETRIA DEL LAOCOONTE: IL PRIMO RETTANGOLO

Non sarà allora difficile notare come il capolavoro scultore possa agevolmente essere iscritto all’interno di un immaginario rettangolo, più alto che largo di appena un quinto.

Immaginate ora di poter tracciare due diagonali all’interno del suddetto rettangolo. La prima diagonale, che nasce dall’angolo in basso a destra e che termina in quello in alto a sinistra, traccia la forma e la linea della gamba sinistra di Laocoonte fino ad arrivare al braccio destro del sacerdote. La seconda diagonale, invece, determina la posizione delle gambe flesse del figlio alla nostra sinistra ed arriva a ricongiungersi con la mano destra dell’altro figlio (purtroppo mancante).

Questi semplici accorgimenti hanno in realtà l’enorme vantaggio di rendere visivamente stabile e compatta un’immagine che, per la complessità degli atteggiamenti e la varietà delle posizioni, sarebbe facilmente potuta risultare scomposta.

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LA GEOMETRIA DEL LAOCOONTE: LA LINEA ED IL SECONDO RETTANGOLO

I tre scultori, però, non si limitarono ad un unico accorgimento: l’opera, infatti, mostra svariate altre linee di connessione, che dovevano servire a rendere più comprensibile un’opera così complessa.

Ad un’osservazione più attenta, ad esempio, si può immaginare di tracciare una linea retta che metta in relazione l’allineamento fra le spalle del figlio alla nostra destra, il serpente e il braccio destro di Laocoonte.

È poi di nuovo un secondo rettangolo a governare l’allineamento e la posizione delle teste dei tre personaggi, come pure la posizione delle spire inferiori del terribile serpente marino.

Tutte queste linee e figure geometriche hanno quindi la funzione di rendere stabile la composizione, di per sé fortemente dinamica: eppure, un dettaglio dell’opera ha creato per secoli una profonda asimmetria. Stiamo ovviamente parlando del braccio destro di Laocoonte che, poroprio in virtù di quanto appena spiegato, non avrebbe potuto avere forma e struttura da quella attuale.

Eppure, per quasi quattro secoli, non fu così.

IL BRACCIO DEL LAOCOONTE

Come probabilmente molti di voi sapranno, il braccio destro di Laocoonte fu ritrovato frammentario in una bottega antiquaria, quasi quattrocento anni dopo la prima scoperta del capolavoro statuario. Esso fu oggetto di studi e di ricostruzioni discordanti, prima che si addivenisse all’attuale soluzione definitiva.

La geometria del Laocoonte, La geometria del Laocoonte, Rome GuidesPer secoli, infatti, gli studiosi e gli artisti si erano divisi fra coloro che pensavano ad un braccio disteso e coloro che invece prediligevano l’opzione del braccio piegato. Un’idea di come dovesse apparire il gruppo al momento della scoperta ci deriva da un bronzetto cinquecentesco conservato al Museo del Bargello di Firenze, nel quale il braccio destro di Laocoonte non compare affatto.

Tra i primi artisti a tentare una ricostruzione dell’arto ci fu Jacopo Sansovino che, nel suo bronzetto del 1521 (oggi conservato al Victoria & Albert Museum di Londra), scelse l’opzione di un braccio sì piegato, ma con un’eccessiva elevazione. Al contempo Baccio Bandinelli, inviato dalla famiglia Medici per realizzare una copia del capolavoro (ancor oggi esistente e conservata agli Uffizi), completa la statua con un braccio assai più distante dal corpo, lontano dall’avambraccio ed avvolto in un groviglio di serpenti.

La geometria del Laocoonte, La geometria del Laocoonte, Rome GuidesLa discussione era ben lungi dal terminare. Molti artisti, infatti, gettavano legna nel fuoco delle polemiche, affermando l’inopportunità del completamente di un simile capolavoro basandosi su ipotesi non confermabili: Francesco Primaticcio, ad esempio, nel realizzare per Francesco I di Francia una copia bronzea del gruppo scultoreo nel 1543 (oggi conservata a Fontainebleau), decise di lasciare monco il braccio destro.

A dispetto però di tali controversie, l’idea di completare il Laocoonte con alcune piccole integrazioni ritenute piuttosto marginali (il braccio del sacerdote, il braccio di un figlio e la mano dell’altro) non fu mai abbandonata. Del resto, l’occasione era troppo ghiotta per non tentare di riportare il capolavoro ai suoi antichi splendori.

IL “BRACCIO MONTORSOLI”

La geometria del Laocoonte, La geometria del Laocoonte, Rome GuidesSi arriva quindi al 1533, quando Papa Clemente VII commissionò una volta per tutte il restauro del braccio mancante a Giovanni Antonio Montorsoli, apprezzato collaboratore di Michelangelo con il quale collaborerà anche nella decorazione delle Tombe Medicee. La scelta del cosiddetto “braccio teso di Montorsoli”, testimoniata da una notevole quantità di disegni, condizionerà tutte le successive ricostruzioni, che si ispirarono a quest’ultimo progetto fino al 1954: ciò non toglie che una parte degli artisti e degli studiosi preferì sempre e comunque fare riferimento al cosiddetto “braccio di Michelangelo”, piegato e sorprendentemente simile a quello successivamente ritrovato.

Insomma, il dibattito era ben lungi dal potersi definire cessato, ma la versione di Montorsoli iniziò a guadagnare sempre più vantaggio.

La posa del Laocoonte divenne fortemente enfatica, ed il braccio teso in leggera torsione verso l’alto venne mantenuto sia da Agostino Cornacchini, che curò il capolavoro tra il 1725 ed il 1727, che da Francois Giraudon, che ebbe l’incarico di restaurare il Laocoonte prima del trasferimento coatto a Parigi, voluto da Napoleone.

L’opera rimase quindi ormai incastonata in questa posa, con la sua immagine ormai caratterizzata da una sorta di S allungata delle braccia, che disegnavano una doppia ansa contrapposta.

La geometria del Laocoonte, La geometria del Laocoonte, Rome GuidesA dispetto del successo di questa versione, però, non si placava la discussione con chi riteneva tale scelta in evidente contrasto (e quindi incompatibile) con il raffinato equilibrio caratterizzante il gruppo scultoreo. Il “braccio teso”, infatti, rendeva la composizione aperta e squilibrata, con i pieni ed i vuoti non più in grado di compensarsi ed un netto sbilanciamento visuale verso sinistra, quasi che il gruppo fosse sul punto di cadere.

Al contrario, il braccio piegato avrebbe creato un “pieno” che sarebbe stato perfettamente in grado di riempire il “vuoto” (indicato in rosso nell’immagine) contenuto fra le spire del serpente, il margine superiore della coscia sinistra di Laocoonte e quello laterale del tronco del figlio che lo chiude.

LA SCOPERTA DI LUDWIG POLLAK

Per fortuna, il destino scelse di dirimere a suo modo la questione.

La geometria del Laocoonte, La geometria del Laocoonte, Rome GuidesNel 1905 accadde infatti un evento imprevedibile: l’antiquario Ludwig Pollak ebbe la fortuna di entrare nella bottega di un antiquario e di vedere un braccio di marmo con un serpente attorcigliato intorno, proveniente dagli scavi di Via Labicana. Pollak, che certamente non era uno sprovveduto, essendo stato anche il primo Direttore del Museo Barracco, ebbe la prontezza di riconoscere immediatamente il pezzo come il braccio mancante di Laocoonte.

Anche in questo caso, però, la soluzione non fu immediata. Fu infatti necessario attendere oltre mezzo secolo per arrivare alla soluzione definitiva ed al risultato attualmente ammirabile nei Musei Vaticani: grazie agli studi dell’archeologo Ernesto Vergara Caffarelli, che dimostrò in maniera inoppugnabile l’autenticità del “braccio Pollak”, e grazie al concreto restauro ad opera di Filippo Magi, nel 1957 il Laocoonte riprese finalmente la propria posa originaria.

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